LA DIVINA COMMEDIA DI DANTE ALIGHIERI PARADISO Paradiso: Canto I La gloria di colui che tutto move per l'universo penetra, e risplende in una parte piu` e meno altrove. Nel ciel che piu` de la sua luce prende fu' io, e vidi cose che ridire ne/ sa ne/ puo` chi di la` su` discende; perche/ appressando se/ al suo disire, nostro intelletto si profonda tanto, che dietro la memoria non puo` ire. Veramente quant' io del regno santo ne la mia mente potei far tesoro, sara` ora materia del mio canto. O buono Appollo, a l'ultimo lavoro fammi del tuo valor si` fatto vaso, come dimandi a dar l'amato alloro. Infino a qui l'un giogo di Parnaso assai mi fu; ma or con amendue m'e` uopo intrar ne l'aringo rimaso. Entra nel petto mio, e spira tue si` come quando Marsia traesti de la vagina de le membra sue. O divina virtu`, se mi ti presti tanto che l'ombra del beato regno segnata nel mio capo io manifesti, vedra'mi al pie` del tuo diletto legno venire, e coronarmi de le foglie che la materia e tu mi farai degno. Si` rade volte, padre, se ne coglie per triunfare o cesare o poeta, colpa e vergogna de l'umane voglie, che parturir letizia in su la lieta delfica deita` dovria la fronda peneia, quando alcun di se/ asseta. Poca favilla gran fiamma seconda: forse di retro a me con miglior voci si preghera` perche/ Cirra risponda. Surge ai mortali per diverse foci la lucerna del mondo; ma da quella che quattro cerchi giugne con tre croci, con miglior corso e con migliore stella esce congiunta, e la mondana cera piu` a suo modo tempera e suggella. Fatto avea di la` mane e di qua sera tal foce, e quasi tutto era la` bianco quello emisperio, e l'altra parte nera, quando Beatrice in sul sinistro fianco vidi rivolta e riguardar nel sole: aguglia si` non li s'affisse unquanco. E si` come secondo raggio suole uscir del primo e risalire in suso, pur come pelegrin che tornar vuole, cosi` de l'atto suo, per li occhi infuso ne l'imagine mia, il mio si fece, e fissi li occhi al sole oltre nostr' uso. Molto e` licito la`, che qui non lece a le nostre virtu`, merce/ del loco fatto per proprio de l'umana spece. Io nol soffersi molto, ne/ si` poco, ch'io nol vedessi sfavillar dintorno, com' ferro che bogliente esce del foco; e di su`bito parve giorno a giorno essere aggiunto, come quei che puote avesse il ciel d'un altro sole addorno. Beatrice tutta ne l'etterne rote fissa con li occhi stava; e io in lei le luci fissi, di la` su` rimote. Nel suo aspetto tal dentro mi fei, qual si fe/ Glauco nel gustar de l'erba che 'l fe/ consorto in mar de li altri de`i. Trasumanar significar per verba non si poria; pero` l'essemplo basti a cui esperienza grazia serba. S'i' era sol di me quel che creasti novellamente, amor che 'l ciel governi, tu 'l sai, che col tuo lume mi levasti. Quando la rota che tu sempiterni desiderato, a se/ mi fece atteso con l'armonia che temperi e discerni, parvemi tanto allor del cielo acceso de la fiamma del sol, che pioggia o fiume lago non fece alcun tanto disteso. La novita` del suono e 'l grande lume di lor cagion m'accesero un disio mai non sentito di cotanto acume. Ond' ella, che vedea me si` com' io, a quietarmi l'animo commosso, pria ch'io a dimandar, la bocca aprio e comincio`: <>. S'io fui del primo dubbio disvestito per le sorrise parolette brevi, dentro ad un nuovo piu` fu' inretito e dissi: <>. Ond' ella, appresso d'un pio sospiro, li occhi drizzo` ver' me con quel sembiante che madre fa sovra figlio deliro, e comincio`: <>. Quinci rivolse inver' lo cielo il viso. Paradiso: Canto II O voi che siete in piccioletta barca, desiderosi d'ascoltar, seguiti dietro al mio legno che cantando varca, tornate a riveder li vostri liti: non vi mettete in pelago, che/ forse, perdendo me, rimarreste smarriti. L'acqua ch'io prendo gia` mai non si corse; Minerva spira, e conducemi Appollo, e nove Muse mi dimostran l'Orse. Voialtri pochi che drizzaste il collo per tempo al pan de li angeli, del quale vivesi qui ma non sen vien satollo, metter potete ben per l'alto sale vostro navigio, servando mio solco dinanzi a l'acqua che ritorna equale. Que' gloriosi che passaro al Colco non s'ammiraron come voi farete, quando Iaso/n vider fatto bifolco. La concreata e perpetua sete del deiforme regno cen portava veloci quasi come 'l ciel vedete. Beatrice in suso, e io in lei guardava; e forse in tanto in quanto un quadrel posa e vola e da la noce si dischiava, giunto mi vidi ove mirabil cosa mi torse il viso a se/; e pero` quella cui non potea mia cura essere ascosa, volta ver' me, si` lieta come bella, <>, mi disse, <>. Parev' a me che nube ne coprisse lucida, spessa, solida e pulita, quasi adamante che lo sol ferisse. Per entro se/ l'etterna margarita ne ricevette, com' acqua recepe raggio di luce permanendo unita. S'io era corpo, e qui non si concepe com' una dimensione altra patio, ch'esser convien se corpo in corpo repe, accender ne dovria piu` il disio di veder quella essenza in che si vede come nostra natura e Dio s'unio. Li` si vedra` cio` che tenem per fede, non dimostrato, ma fia per se/ noto a guisa del ver primo che l'uom crede. Io rispuosi: <>. Ella sorrise alquanto, e poi <>, mi disse, <>. E io: <>. Ed ella: <>. Paradiso: Canto III Quel sol che pria d'amor mi scaldo` 'l petto, di bella verita` m'avea scoverto, provando e riprovando, il dolce aspetto; e io, per confessar corretto e certo me stesso, tanto quanto si convenne leva' il capo a proferer piu` erto; ma visione apparve che ritenne a se/ me tanto stretto, per vedersi, che di mia confession non mi sovvenne. Quali per vetri trasparenti e tersi, o ver per acque nitide e tranquille, non si` profonde che i fondi sien persi, tornan d'i nostri visi le postille debili si`, che perla in bianca fronte non vien men forte a le nostre pupille; tali vid' io piu` facce a parlar pronte; per ch'io dentro a l'error contrario corsi a quel ch'accese amor tra l'omo e 'l fonte. Su`bito si` com' io di lor m'accorsi, quelle stimando specchiati sembianti, per veder di cui fosser, li occhi torsi; e nulla vidi, e ritorsili avanti dritti nel lume de la dolce guida, che, sorridendo, ardea ne li occhi santi. <>, mi disse, <>. E io a l'ombra che parea piu` vaga di ragionar, drizza'mi, e cominciai, quasi com' uom cui troppa voglia smaga: <>. Ond' ella, pronta e con occhi ridenti: <>. Ond' io a lei: <>. Con quelle altr' ombre pria sorrise un poco; da indi mi rispuose tanto lieta, ch'arder parea d'amor nel primo foco: <>. Chiaro mi fu allor come ogne dove in cielo e` paradiso, etsi la grazia del sommo ben d'un modo non vi piove. Ma si` com' elli avvien, s'un cibo sazia e d'un altro rimane ancor la gola, che quel si chere e di quel si ringrazia, cosi` fec' io con atto e con parola, per apprender da lei qual fu la tela onde non trasse infino a co la spuola. <>, mi disse, <>. Cosi` parlommi, e poi comincio` `Ave, Maria' cantando, e cantando vanio come per acqua cupa cosa grave. La vista mia, che tanto lei seguio quanto possibil fu, poi che la perse, volsesi al segno di maggior disio, e a Beatrice tutta si converse; ma quella folgoro` nel mio sguardo si` che da prima il viso non sofferse; e cio` mi fece a dimandar piu` tardo. Paradiso: Canto IV Intra due cibi, distanti e moventi d'un modo, prima si morria di fame, che liber' omo l'un recasse ai denti; si` si starebbe un agno intra due brame di fieri lupi, igualmente temendo; si` si starebbe un cane intra due dame: per che, s'i' mi tacea, me non riprendo, da li miei dubbi d'un modo sospinto, poi ch'era necessario, ne/ commendo. Io mi tacea, ma 'l mio disir dipinto m'era nel viso, e 'l dimandar con ello, piu` caldo assai che per parlar distinto. Fe/ si` Beatrice qual fe/ Daniello, Nabuccodonosor levando d'ira, che l'avea fatto ingiustamente fello; e disse: <>. Cotal fu l'ondeggiar del santo rio ch'usci` del fonte ond' ogne ver deriva; tal puose in pace uno e altro disio. <>, diss' io appresso, <>. Beatrice mi guardo` con li occhi pieni di faville d'amor cosi` divini, che, vinta, mia virtute die` le reni, e quasi mi perdei con li occhi chini. Paradiso: Canto V <>. Si` comincio` Beatrice questo canto; e si` com' uom che suo parlar non spezza, continuo` cosi` 'l processo santo: <>. Cosi` Beatrice a me com' io scrivo; poi si rivolse tutta disiante a quella parte ove 'l mondo e` piu` vivo. Lo suo tacere e 'l trasmutar sembiante puoser silenzio al mio cupido ingegno, che gia` nuove questioni avea davante; e si` come saetta che nel segno percuote pria che sia la corda queta, cosi` corremmo nel secondo regno. Quivi la donna mia vid' io si` lieta, come nel lume di quel ciel si mise, che piu` lucente se ne fe/ 'l pianeta. E se la stella si cambio` e rise, qual mi fec' io che pur da mia natura trasmutabile son per tutte guise! Come 'n peschiera ch'e` tranquilla e pura traggonsi i pesci a cio` che vien di fori per modo che lo stimin lor pastura, si` vid' io ben piu` di mille splendori trarsi ver' noi, e in ciascun s'udia: <>. E si` come ciascuno a noi veni`a, vedeasi l'ombra piena di letizia nel folgo/r chiaro che di lei uscia. Pensa, lettor, se quel che qui s'inizia non procedesse, come tu avresti di piu` savere angosciosa carizia; e per te vederai come da questi m'era in disio d'udir lor condizioni, si` come a li occhi mi fur manifesti. <>. Cosi` da un di quelli spirti pii detto mi fu; e da Beatrice: <>. <>. Questo diss' io diritto a la lumera che pria m'avea parlato; ond' ella fessi lucente piu` assai di quel ch'ell' era. Si` come il sol che si cela elli stessi per troppa luce, come 'l caldo ha ro/se le temperanze d'i vapori spessi, per piu` letizia si` mi si nascose dentro al suo raggio la figura santa; e cosi` chiusa chiusa mi rispuose nel modo che 'l seguente canto canta. Paradiso: Canto VI <>. Paradiso: Canto VII <>. Cosi`, volgendosi a la nota sua, fu viso a me cantare essa sustanza, sopra la qual doppio lume s'addua; ed essa e l'altre mossero a sua danza, e quasi velocissime faville mi si velar di su`bita distanza. Io dubitava e dicea `Dille, dille!' fra me, `dille' dicea, `a la mia donna che mi diseta con le dolci stille'. Ma quella reverenza che s'indonna di tutto me, pur per Be e per ice, mi richinava come l'uom ch'assonna. Poco sofferse me cotal Beatrice e comincio`, raggiandomi d'un riso tal, che nel foco faria l'uom felice: <>. Paradiso: Canto VIII Solea creder lo mondo in suo periclo che la bella Ciprigna il folle amore raggiasse, volta nel terzo epiciclo; per che non pur a lei faceano onore di sacrificio e di votivo grido le genti antiche ne l'antico errore; ma Dione onoravano e Cupido, quella per madre sua, questo per figlio, e dicean ch'el sedette in grembo a Dido; e da costei ond' io principio piglio pigliavano il vocabol de la stella che 'l sol vagheggia or da coppa or da ciglio. Io non m'accorsi del salire in ella; ma d'esservi entro mi fe/ assai fede la donna mia ch'i' vidi far piu` bella. E come in fiamma favilla si vede, e come in voce voce si discerne, quand' una e` ferma e altra va e riede, vid' io in essa luce altre lucerne muoversi in giro piu` e men correnti, al modo, credo, di lor viste interne. Di fredda nube non disceser venti, o visibili o no, tanto festini, che non paressero impediti e lenti a chi avesse quei lumi divini veduti a noi venir, lasciando il giro pria cominciato in li alti Serafini; e dentro a quei che piu` innanzi appariro sonava `Osanna' si`, che unque poi di riudir non fui sanza disiro. Indi si fece l'un piu` presso a noi e solo incomincio`: <>. Poscia che li occhi miei si fuoro offerti a la mia donna reverenti, ed essa fatti li avea di se/ contenti e certi, rivolsersi a la luce che promessa tanto s'avea, e <> fue la voce mia di grande affetto impressa. E quanta e quale vid' io lei far piu`e per allegrezza nova che s'accrebbe, quando parlai, a l'allegrezze sue! Cosi` fatta, mi disse: <>. <>. Questo io a lui; ed elli a me: <>. E io: <>. Ond' elli ancora: <>. <>, rispuos' io; <>. <>. Si` venne deducendo infino a quici; poscia conchiuse: <>. Paradiso: Canto IX Da poi che Carlo tuo, bella Clemenza, m'ebbe chiarito, mi narro` li 'nganni che ricever dovea la sua semenza; ma disse: <>; si` ch'io non posso dir se non che pianto giusto verra` di retro ai vostri danni. E gia` la vita di quel lume santo rivolta s'era al Sol che la riempie come quel ben ch'a ogne cosa e` tanto. Ahi anime ingannate e fatture empie, che da si` fatto ben torcete i cuori, drizzando in vanita` le vostre tempie! Ed ecco un altro di quelli splendori ver' me si fece, e 'l suo voler piacermi significava nel chiarir di fori. Li occhi di Beatrice, ch'eran fermi sovra me, come pria, di caro assenso al mio disio certificato fermi. <>, dissi, <>. Onde la luce che m'era ancor nova, del suo profondo, ond' ella pria cantava, seguette come a cui di ben far giova: <>. Qui si tacette; e fecemi sembiante che fosse ad altro volta, per la rota in che si mise com' era davante. L'altra letizia, che m'era gia` nota per cara cosa, mi si fece in vista qual fin balasso in che lo sol percuota. Per letiziar la` su` fulgor s'acquista, si` come riso qui; ma giu` s'abbuia l'ombra di fuor, come la mente e` trista. <>, diss' io, <>. <>, incominciaro allor le sue parole, <>. Paradiso: Canto X Guardando nel suo Figlio con l'Amore che l'uno e l'altro etternalmente spira, lo primo e ineffabile Valore quanto per mente e per loco si gira con tant' ordine fe/, ch'esser non puote sanza gustar di lui chi cio` rimira. Leva dunque, lettore, a l'alte rote meco la vista, dritto a quella parte dove l'un moto e l'altro si percuote; e li` comincia a vagheggiar ne l'arte di quel maestro che dentro a se/ l'ama, tanto che mai da lei l'occhio non parte. Vedi come da indi si dirama l'oblico cerchio che i pianeti porta, per sodisfare al mondo che li chiama. Che se la strada lor non fosse torta, molta virtu` nel ciel sarebbe in vano, e quasi ogne potenza qua giu` morta; e se dal dritto piu` o men lontano fosse 'l partire, assai sarebbe manco e giu` e su` de l'ordine mondano. Or ti riman, lettor, sovra 'l tuo banco, dietro pensando a cio` che si preliba, s'esser vuoi lieto assai prima che stanco. Messo t'ho innanzi: omai per te ti ciba; che/ a se/ torce tutta la mia cura quella materia ond' io son fatto scriba. Lo ministro maggior de la natura, che del valor del ciel lo mondo imprenta e col suo lume il tempo ne misura, con quella parte che su` si rammenta congiunto, si girava per le spire in che piu` tosto ognora s'appresenta; e io era con lui; ma del salire non m'accors' io, se non com' uom s'accorge, anzi 'l primo pensier, del suo venire. E` Beatrice quella che si` scorge di bene in meglio, si` subitamente che l'atto suo per tempo non si sporge. Quant' esser convenia da se/ lucente quel ch'era dentro al sol dov' io entra'mi, non per color, ma per lume parvente! Perch' io lo 'ngegno e l'arte e l'uso chiami, si` nol direi che mai s'imaginasse; ma creder puossi e di veder si brami. E se le fantasie nostre son basse a tanta altezza, non e` maraviglia; che/ sopra 'l sol non fu occhio ch'andasse. Tal era quivi la quarta famiglia de l'alto Padre, che sempre la sazia, mostrando come spira e come figlia. E Beatrice comincio`: <>. Cor di mortal non fu mai si` digesto a divozione e a rendersi a Dio con tutto 'l suo gradir cotanto presto, come a quelle parole mi fec' io; e si` tutto 'l mio amore in lui si mise, che Beatrice eclisso` ne l'oblio. Non le dispiacque; ma si` se ne rise, che lo splendor de li occhi suoi ridenti mia mente unita in piu` cose divise. Io vidi piu` folgo/r vivi e vincenti far di noi centro e di se/ far corona, piu` dolci in voce che in vista lucenti: cosi` cinger la figlia di Latona vedem talvolta, quando l'aere e` pregno, si` che ritenga il fil che fa la zona. Ne la corte del cielo, ond' io rivegno, si trovan molte gioie care e belle tanto che non si posson trar del regno; e 'l canto di quei lumi era di quelle; chi non s'impenna si` che la` su` voli, dal muto aspetti quindi le novelle. Poi, si` cantando, quelli ardenti soli si fuor girati intorno a noi tre volte, come stelle vicine a' fermi poli, donne mi parver, non da ballo sciolte, ma che s'arrestin tacite, ascoltando fin che le nove note hanno ricolte. E dentro a l'un senti' cominciar: <>. Indi, come orologio che ne chiami ne l'ora che la sposa di Dio surge a mattinar lo sposo perche/ l'ami, che l'una parte e l'altra tira e urge, tin tin sonando con si` dolce nota, che 'l ben disposto spirto d'amor turge; cosi` vid' io la gloriosa rota muoversi e render voce a voce in tempra e in dolcezza ch'esser non po` nota se non cola` dove gioir s'insempra. Paradiso: Canto XI O insensata cura de' mortali, quanto son difettivi silogismi quei che ti fanno in basso batter l'ali! Chi dietro a iura e chi ad amforismi sen giva, e chi seguendo sacerdozio, e chi regnar per forza o per sofismi, e chi rubare e chi civil negozio, chi nel diletto de la carne involto s'affaticava e chi si dava a l'ozio, quando, da tutte queste cose sciolto, con Beatrice m'era suso in cielo cotanto gloriosamente accolto. Poi che ciascuno fu tornato ne lo punto del cerchio in che avanti s'era, fermossi, come a candellier candelo. E io senti' dentro a quella lumera che pria m'avea parlato, sorridendo incominciar, faccendosi piu` mera: <>. Paradiso: Canto XII Si` tosto come l'ultima parola la benedetta fiamma per dir tolse, a rotar comincio` la santa mola; e nel suo giro tutta non si volse prima ch'un'altra di cerchio la chiuse, e moto a moto e canto a canto colse; canto che tanto vince nostre muse, nostre serene in quelle dolci tube, quanto primo splendor quel ch'e' refuse. Come si volgon per tenera nube due archi paralelli e concolori, quando Iunone a sua ancella iube, nascendo di quel d'entro quel di fori, a guisa del parlar di quella vaga ch'amor consunse come sol vapori, e fanno qui la gente esser presaga, per lo patto che Dio con Noe` puose, del mondo che gia` mai piu` non s'allaga: cosi` di quelle sempiterne rose volgiensi circa noi le due ghirlande, e si` l'estrema a l'intima rispuose. Poi che 'l tripudio e l'altra festa grande, si` del cantare e si` del fiammeggiarsi luce con luce gaudiose e blande, insieme a punto e a voler quetarsi, pur come li occhi ch'al piacer che i move conviene insieme chiudere e levarsi; del cor de l'una de le luci nove si mosse voce, che l'ago a la stella parer mi fece in volgermi al suo dove; e comincio`: <>. Paradiso: Canto XIII Imagini, chi bene intender cupe quel ch'i' or vidi--e ritegna l'image, mentre ch'io dico, come ferma rupe--, quindici stelle che 'n diverse plage lo ciel avvivan di tanto sereno che soperchia de l'aere ogne compage; imagini quel carro a cu' il seno basta del nostro cielo e notte e giorno, si` ch'al volger del temo non vien meno; imagini la bocca di quel corno che si comincia in punta de lo stelo a cui la prima rota va dintorno, aver fatto di se/ due segni in cielo, qual fece la figliuola di Minoi allora che senti` di morte il gelo; e l'un ne l'altro aver li raggi suoi, e amendue girarsi per maniera che l'uno andasse al primo e l'altro al poi; e avra` quasi l'ombra de la vera costellazione e de la doppia danza che circulava il punto dov' io era: poi ch'e` tanto di la` da nostra usanza, quanto di la` dal mover de la Chiana si move il ciel che tutti li altri avanza. Li` si canto` non Bacco, non Peana, ma tre persone in divina natura, e in una persona essa e l'umana. Compie/ 'l cantare e 'l volger sua misura; e attesersi a noi quei santi lumi, felicitando se/ di cura in cura. Ruppe il silenzio ne' concordi numi poscia la luce in che mirabil vita del poverel di Dio narrata fumi, e disse: <>. Paradiso: Canto XIV Dal centro al cerchio, e si` dal cerchio al centro movesi l'acqua in un ritondo vaso, secondo ch'e` percosso fuori o dentro: ne la mia mente fe/ su`bito caso questo ch'io dico, si` come si tacque la gloriosa vita di Tommaso, per la similitudine che nacque del suo parlare e di quel di Beatrice, a cui si` cominciar, dopo lui, piacque: <>. Come, da piu` letizia pinti e tratti, a la fiata quei che vanno a rota levan la voce e rallegrano li atti, cosi`, a l'orazion pronta e divota, li santi cerchi mostrar nova gioia nel torneare e ne la mira nota. Qual si lamenta perche/ qui si moia per viver cola` su`, non vide quive lo refrigerio de l'etterna ploia. Quell' uno e due e tre che sempre vive e regna sempre in tre e 'n due e 'n uno, non circunscritto, e tutto circunscrive, tre volte era cantato da ciascuno di quelli spirti con tal melodia, ch'ad ogne merto saria giusto muno. E io udi' ne la luce piu` dia del minor cerchio una voce modesta, forse qual fu da l'angelo a Maria, risponder: <>. Tanto mi parver su`biti e accorti e l'uno e l'altro coro a dicer <>, che ben mostrar disio d'i corpi morti: forse non pur per lor, ma per le mamme, per li padri e per li altri che fuor cari anzi che fosser sempiterne fiamme. Ed ecco intorno, di chiarezza pari, nascere un lustro sopra quel che v'era, per guisa d'orizzonte che rischiari. E si` come al salir di prima sera comincian per lo ciel nove parvenze, si` che la vista pare e non par vera, parvemi li` novelle sussistenze cominciare a vedere, e fare un giro di fuor da l'altre due circunferenze. Oh vero sfavillar del Santo Spiro! come si fece su`bito e candente a li occhi miei che, vinti, nol soffriro! Ma Beatrice si` bella e ridente mi si mostro`, che tra quelle vedute si vuol lasciar che non seguir la mente. Quindi ripreser li occhi miei virtute a rilevarsi; e vidimi translato sol con mia donna in piu` alta salute. Ben m'accors' io ch'io era piu` levato, per l'affocato riso de la stella, che mi parea piu` roggio che l'usato. Con tutto 'l core e con quella favella ch'e` una in tutti, a Dio feci olocausto, qual conveniesi a la grazia novella. E non er' anco del mio petto essausto l'ardor del sacrificio, ch'io conobbi esso litare stato accetto e fausto; che/ con tanto lucore e tanto robbi m'apparvero splendor dentro a due raggi, ch'io dissi: <>. Come distinta da minori e maggi lumi biancheggia tra ' poli del mondo Galassia si`, che fa dubbiar ben saggi; si` costellati facean nel profondo Marte quei raggi il venerabil segno che fan giunture di quadranti in tondo. Qui vince la memoria mia lo 'ngegno; che/ quella croce lampeggiava Cristo, si` ch'io non so trovare essempro degno; ma chi prende sua croce e segue Cristo, ancor mi scusera` di quel ch'io lasso, vedendo in quell' albor balenar Cristo. Di corno in corno e tra la cima e 'l basso si movien lumi, scintillando forte nel congiugnersi insieme e nel trapasso: cosi` si veggion qui diritte e torte, veloci e tarde, rinovando vista, le minuzie d'i corpi, lunghe e corte, moversi per lo raggio onde si lista talvolta l'ombra che, per sua difesa, la gente con ingegno e arte acquista. E come giga e arpa, in tempra tesa di molte corde, fa dolce tintinno a tal da cui la nota non e` intesa, cosi` da' lumi che li` m'apparinno s'accogliea per la croce una melode che mi rapiva, sanza intender l'inno. Ben m'accors' io ch'elli era d'alte lode, pero` ch'a me veni`a <> e <> come a colui che non intende e ode. Io m'innamorava tanto quinci, che 'nfino a li` non fu alcuna cosa che mi legasse con si` dolci vinci. Forse la mia parola par troppo osa, posponendo il piacer de li occhi belli, ne' quai mirando mio disio ha posa; ma chi s'avvede che i vivi suggelli d'ogne bellezza piu` fanno piu` suso, e ch'io non m'era li` rivolto a quelli, escusar puommi di quel ch'io m'accuso per escusarmi, e vedermi dir vero: che/ 'l piacer santo non e` qui dischiuso, perche/ si fa, montando, piu` sincero. Paradiso: Canto XV Benigna volontade in che si liqua sempre l'amor che drittamente spira, come cupidita` fa ne la iniqua, silenzio puose a quella dolce lira, e fece quietar le sante corde che la destra del cielo allenta e tira. Come saranno a' giusti preghi sorde quelle sustanze che, per darmi voglia ch'io le pregassi, a tacer fur concorde? Bene e` che sanza termine si doglia chi, per amor di cosa che non duri etternalmente, quello amor si spoglia. Quale per li seren tranquilli e puri discorre ad ora ad or su`bito foco, movendo li occhi che stavan sicuri, e pare stella che tramuti loco, se non che da la parte ond' e' s'accende nulla sen perde, ed esso dura poco: tale dal corno che 'n destro si stende a pie` di quella croce corse un astro de la costellazion che li` resplende; ne/ si parti` la gemma dal suo nastro, ma per la lista radial trascorse, che parve foco dietro ad alabastro. Si` pia l'ombra d'Anchise si porse, se fede merta nostra maggior musa, quando in Eliso del figlio s'accorse. <>. Cosi` quel lume: ond' io m'attesi a lui; poscia rivolsi a la mia donna il viso, e quinci e quindi stupefatto fui; che/ dentro a li occhi suoi ardeva un riso tal, ch'io pensai co' miei toccar lo fondo de la mia gloria e del mio paradiso. Indi, a udire e a veder giocondo, giunse lo spirto al suo principio cose, ch'io non lo 'ntesi, si` parlo` profondo; ne/ per elezion mi si nascose, ma per necessita`, che/ 'l suo concetto al segno d'i mortal si soprapuose. E quando l'arco de l'ardente affetto fu si` sfogato, che 'l parlar discese inver' lo segno del nostro intelletto, la prima cosa che per me s'intese, <>, fu, <>. E segui`: <>. Io mi volsi a Beatrice, e quella udio pria ch'io parlassi, e arrisemi un cenno che fece crescer l'ali al voler mio. Poi cominciai cosi`: <>. <>: cotal principio, rispondendo, femmi. Poscia mi disse: <>. Paradiso: Canto XVI O poca nostra nobilta` di sangue, se gloriar di te la gente fai qua giu` dove l'affetto nostro langue, mirabil cosa non mi sara` mai: che/ la` dove appetito non si torce, dico nel cielo, io me ne gloriai. Ben se' tu manto che tosto raccorce: si` che, se non s'appon di di` in die, lo tempo va dintorno con le force. Dal `voi' che prima a Roma s'offerie, in che la sua famiglia men persevra, ricominciaron le parole mie; onde Beatrice, ch'era un poco scevra, ridendo, parve quella che tossio al primo fallo scritto di Ginevra. Io cominciai: <>. Come s'avviva a lo spirar d'i venti carbone in fiamma, cosi` vid' io quella luce risplendere a' miei blandimenti; e come a li occhi miei si fe/ piu` bella, cosi` con voce piu` dolce e soave, ma non con questa moderna favella, dissemi: <>. Paradiso: Canto XVII Qual venne a Climene`, per accertarsi di cio` ch'avea incontro a se/ udito, quei ch'ancor fa li padri ai figli scarsi; tal era io, e tal era sentito e da Beatrice e da la santa lampa che pria per me avea mutato sito. Per che mia donna <>, mi disse, <>. <>. Cosi` diss' io a quella luce stessa che pria m'avea parlato; e come volle Beatrice, fu la mia voglia confessa. Ne/ per ambage, in che la gente folle gia` s'inviscava pria che fosse anciso l'Agnel di Dio che le peccata tolle, ma per chiare parole e con preciso latin rispuose quello amor paterno, chiuso e parvente del suo proprio riso: <>; e disse cose incredibili a quei che fier presente. Poi giunse: <>. Poi che, tacendo, si mostro` spedita l'anima santa di metter la trama in quella tela ch'io le porsi ordita, io cominciai, come colui che brama, dubitando, consiglio da persona che vede e vuol dirittamente e ama: <>. La luce in che rideva il mio tesoro ch'io trovai li`, si fe/ prima corusca, quale a raggio di sole specchio d'oro; indi rispuose: <>. Paradiso: Canto XVIII Gia` si godeva solo del suo verbo quello specchio beato, e io gustava lo mio, temprando col dolce l'acerbo; e quella donna ch'a Dio mi menava disse: <>. Io mi rivolsi a l'amoroso suono del mio conforto; e qual io allor vidi ne li occhi santi amor, qui l'abbandono: non perch' io pur del mio parlar diffidi, ma per la mente che non puo` redire sovra se/ tanto, s'altri non la guidi. Tanto poss' io di quel punto ridire, che, rimirando lei, lo mio affetto libero fu da ogne altro disire, fin che 'l piacere etterno, che diretto raggiava in Beatrice, dal bel viso mi contentava col secondo aspetto. Vincendo me col lume d'un sorriso, ella mi disse: <>. Come si vede qui alcuna volta l'affetto ne la vista, s'elli e` tanto, che da lui sia tutta l'anima tolta, cosi` nel fiammeggiar del folgo/r santo, a ch'io mi volsi, conobbi la voglia in lui di ragionarmi ancora alquanto. El comincio`: <>. Io vidi per la croce un lume tratto dal nomar Iosue`, com' el si feo; ne/ mi fu noto il dir prima che 'l fatto. E al nome de l'alto Macabeo vidi moversi un altro roteando, e letizia era ferza del paleo. Cosi` per Carlo Magno e per Orlando due ne segui` lo mio attento sguardo, com' occhio segue suo falcon volando. Poscia trasse Guiglielmo e Rinoardo e 'l duca Gottifredi la mia vista per quella croce, e Ruberto Guiscardo. Indi, tra l'altre luci mota e mista, mostrommi l'alma che m'avea parlato qual era tra i cantor del cielo artista. Io mi rivolsi dal mio destro lato per vedere in Beatrice il mio dovere, o per parlare o per atto, segnato; e vidi le sue luci tanto mere, tanto gioconde, che la sua sembianza vinceva li altri e l'ultimo solere. E come, per sentir piu` dilettanza bene operando, l'uom di giorno in giorno s'accorge che la sua virtute avanza, si` m'accors' io che 'l mio girare intorno col cielo insieme avea cresciuto l'arco, veggendo quel miracol piu` addorno. E qual e` 'l trasmutare in picciol varco di tempo in bianca donna, quando 'l volto suo si discarchi di vergogna il carco, tal fu ne li occhi miei, quando fui vo`lto, per lo candor de la temprata stella sesta, che dentro a se/ m'avea ricolto. Io vidi in quella giovial facella lo sfavillar de l'amor che li` era segnare a li occhi miei nostra favella. E come augelli surti di rivera, quasi congratulando a lor pasture, fanno di se/ or tonda or altra schiera, si` dentro ai lumi sante creature volitando cantavano, e faciensi or D, or I, or L in sue figure. Prima, cantando, a sua nota moviensi; poi, diventando l'un di questi segni, un poco s'arrestavano e taciensi. O diva Pegasea che li 'ngegni fai gloriosi e rendili longevi, ed essi teco le cittadi e ' regni, illustrami di te, si` ch'io rilevi le lor figure com' io l'ho concette: paia tua possa in questi versi brevi! Mostrarsi dunque in cinque volte sette vocali e consonanti; e io notai le parti si`, come mi parver dette. `DILIGITE IUSTITIAM', primai fur verbo e nome di tutto 'l dipinto; `QUI IUDICATIS TERRAM', fur sezzai. Poscia ne l'emme del vocabol quinto rimasero ordinate; si` che Giove pareva argento li` d'oro distinto. E vidi scendere altre luci dove era il colmo de l'emme, e li` quetarsi cantando, credo, il ben ch'a se/ le move. Poi, come nel percuoter d'i ciocchi arsi surgono innumerabili faville, onde li stolti sogliono agurarsi, resurger parver quindi piu` di mille luci e salir, qual assai e qual poco, si` come 'l sol che l'accende sortille; e quietata ciascuna in suo loco, la testa e 'l collo d'un'aguglia vidi rappresentare a quel distinto foco. Quei che dipinge li`, non ha chi 'l guidi; ma esso guida, e da lui si rammenta quella virtu` ch'e` forma per li nidi. L'altra beatitudo, che contenta pareva prima d'ingigliarsi a l'emme, con poco moto seguito` la 'mprenta. O dolce stella, quali e quante gemme mi dimostraro che nostra giustizia effetto sia del ciel che tu ingemme! Per ch'io prego la mente in che s'inizia tuo moto e tua virtute, che rimiri ond' esce il fummo che 'l tuo raggio vizia; si` ch'un'altra fiata omai s'adiri del comperare e vender dentro al templo che si muro` di segni e di marti`ri. O milizia del ciel cu' io contemplo, adora per color che sono in terra tutti sviati dietro al malo essemplo! Gia` si solea con le spade far guerra; ma or si fa togliendo or qui or quivi lo pan che 'l pio Padre a nessun serra. Ma tu che sol per cancellare scrivi, pensa che Pietro e Paulo, che moriro per la vigna che guasti, ancor son vivi. Ben puoi tu dire: <>. Paradiso: Canto XIX Parea dinanzi a me con l'ali aperte la bella image che nel dolce frui liete facevan l'anime conserte; parea ciascuna rubinetto in cui raggio di sole ardesse si` acceso, che ne' miei occhi rifrangesse lui. E quel che mi convien ritrar testeso, non porto` voce mai, ne/ scrisse incostro, ne/ fu per fantasia gia` mai compreso; ch'io vidi e anche udi' parlar lo rostro, e sonar ne la voce e <> e <>, quand' era nel concetto e `noi' e `nostro'. E comincio`: <>. Cosi` un sol calor di molte brage si fa sentir, come di molti amori usciva solo un suon di quella image. Ond' io appresso: <>. Quasi falcone ch'esce del cappello, move la testa e con l'ali si plaude, voglia mostrando e faccendosi bello, vid' io farsi quel segno, che di laude de la divina grazia era contesto, con canti quai si sa chi la` su` gaude. Poi comincio`: <>. Quale sovresso il nido si rigira poi c'ha pasciuti la cicogna i figli, e come quel ch'e` pasto la rimira; cotal si fece, e si` levai i cigli, la benedetta imagine, che l'ali movea sospinte da tanti consigli. Roteando cantava, e dicea: <>. Poi si quetaro quei lucenti incendi de lo Spirito Santo ancor nel segno che fe/ i Romani al mondo reverendi, esso ricomincio`: <>. Paradiso: Canto XX Quando colui che tutto 'l mondo alluma de l'emisperio nostro si` discende, che 'l giorno d'ogne parte si consuma, lo ciel, che sol di lui prima s'accende, subitamente si rifa` parvente per molte luci, in che una risplende; e questo atto del ciel mi venne a mente, come 'l segno del mondo e de' suoi duci nel benedetto rostro fu tacente; pero` che tutte quelle vive luci, vie piu` lucendo, cominciaron canti da mia memoria labili e caduci. O dolce amor che di riso t'ammanti, quanto parevi ardente in que' flailli, ch'avieno spirto sol di pensier santi! Poscia che i cari e lucidi lapilli ond' io vidi ingemmato il sesto lume puoser silenzio a li angelici squilli, udir mi parve un mormorar di fiume che scende chiaro giu` di pietra in pietra, mostrando l'uberta` del suo cacume. E come suono al collo de la cetra prende sua forma, e si` com' al pertugio de la sampogna vento che pene`tra, cosi`, rimosso d'aspettare indugio, quel mormorar de l'aguglia salissi su per lo collo, come fosse bugio. Fecesi voce quivi, e quindi uscissi per lo suo becco in forma di parole, quali aspettava il core ov' io le scrissi. <>, incominciommi, <>. Quale allodetta che 'n aere si spazia prima cantando, e poi tace contenta de l'ultima dolcezza che la sazia, tal mi sembio` l'imago de la 'mprenta de l'etterno piacere, al cui disio ciascuna cosa qual ell' e` diventa. E avvegna ch'io fossi al dubbiar mio li` quasi vetro a lo color ch'el veste, tempo aspettar tacendo non patio, ma de la bocca, <>, mi pinse con la forza del suo peso: per ch'io di coruscar vidi gran feste. Poi appresso, con l'occhio piu` acceso, lo benedetto segno mi rispuose per non tenermi in ammirar sospeso: <>. Cosi` da quella imagine divina, per farmi chiara la mia corta vista, data mi fu soave medicina. E come a buon cantor buon citarista fa seguitar lo guizzo de la corda, in che piu` di piacer lo canto acquista, si`, mentre ch'e' parlo`, si` mi ricorda ch'io vidi le due luci benedette, pur come batter d'occhi si concorda, con le parole mover le fiammette. Paradiso: Canto XXI Gia` eran li occhi miei rifissi al volto de la mia donna, e l'animo con essi, e da ogne altro intento s'era tolto. E quella non ridea; ma <>, mi comincio`, <>. Qual savesse qual era la pastura del viso mio ne l'aspetto beato quand' io mi trasmutai ad altra cura, conoscerebbe quanto m'era a grato ubidire a la mia celeste scorta, contrapesando l'un con l'altro lato. Dentro al cristallo che 'l vocabol porta, cerchiando il mondo, del suo caro duce sotto cui giacque ogne malizia morta, di color d'oro in che raggio traluce vid' io uno scaleo eretto in suso tanto, che nol seguiva la mia luce. Vidi anche per li gradi scender giuso tanti splendor, ch'io pensai ch'ogne lume che par nel ciel, quindi fosse diffuso. E come, per lo natural costume, le pole insieme, al cominciar del giorno, si movono a scaldar le fredde piume; poi altre vanno via sanza ritorno, altre rivolgon se/ onde son mosse, e altre roteando fan soggiorno; tal modo parve me che quivi fosse in quello sfavillar che 'nsieme venne, si` come in certo grado si percosse. E quel che presso piu` ci si ritenne, si fe/ si` chiaro, ch'io dicea pensando: `Io veggio ben l'amor che tu m'accenne. Ma quella ond' io aspetto il come e 'l quando del dire e del tacer, si sta; ond' io, contra 'l disio, fo ben ch'io non dimando'. Per ch'ella, che vedea il tacer mio nel veder di colui che tutto vede, mi disse: <>. E io incominciai: <>. <>, rispuose a me; <>. <>, diss' io, <>. Ne/ venni prima a l'ultima parola, che del suo mezzo fece il lume centro, girando se/ come veloce mola; poi rispuose l'amor che v'era dentro: <>. Si` mi prescrisser le parole sue, ch'io lasciai la quistione e mi ritrassi a dimandarla umilmente chi fue. <>. Cosi` ricominciommi il terzo sermo; e poi, continuando, disse: <>. A questa voce vid' io piu` fiammelle di grado in grado scendere e girarsi, e ogne giro le facea piu` belle. Dintorno a questa vennero e fermarsi, e fero un grido di si` alto suono, che non potrebbe qui assomigliarsi; ne/ io lo 'ntesi, si` mi vinse il tuono. Paradiso: Canto XXII Oppresso di stupore, a la mia guida mi volsi, come parvol che ricorre sempre cola` dove piu` si confida; e quella, come madre che soccorre su`bito al figlio palido e anelo con la sua voce, che 'l suol ben disporre, mi disse: <>. Come a lei piacque, li occhi ritornai, e vidi cento sperule che 'nsieme piu` s'abbellivan con mutui rai. Io stava come quei che 'n se/ repreme la punta del disio, e non s'attenta di domandar, si` del troppo si teme; e la maggiore e la piu` luculenta di quelle margherite innanzi fessi, per far di se/ la mia voglia contenta. Poi dentro a lei udi': <>. E io a lui: <>. Ond' elli: <>. Cosi` mi disse, e indi si raccolse al suo collegio, e 'l collegio si strinse; poi, come turbo, in su` tutto s'avvolse. La dolce donna dietro a lor mi pinse con un sol cenno su per quella scala, si` sua virtu` la mia natura vinse; ne/ mai qua giu` dove si monta e cala naturalmente, fu si` ratto moto ch'agguagliar si potesse a la mia ala. S'io torni mai, lettore, a quel divoto triunfo per lo quale io piango spesso le mie peccata e 'l petto mi percuoto, tu non avresti in tanto tratto e messo nel foco il dito, in quant' io vidi 'l segno che segue il Tauro e fui dentro da esso. O gloriose stelle, o lume pregno di gran virtu`, dal quale io riconosco tutto, qual che si sia, il mio ingegno, con voi nasceva e s'ascondeva vosco quelli ch'e` padre d'ogne mortal vita, quand' io senti' di prima l'aere tosco; e poi, quando mi fu grazia largita d'entrar ne l'alta rota che vi gira, la vostra region mi fu sortita. A voi divotamente ora sospira l'anima mia, per acquistar virtute al passo forte che a se/ la tira. <>, comincio` Beatrice, <>. Col viso ritornai per tutte quante le sette spere, e vidi questo globo tal, ch'io sorrisi del suo vil sembiante; e quel consiglio per migliore approbo che l'ha per meno; e chi ad altro pensa chiamar si puote veramente probo. Vidi la figlia di Latona incensa sanza quell' ombra che mi fu cagione per che gia` la credetti rara e densa. L'aspetto del tuo nato, Iperione, quivi sostenni, e vidi com' si move circa e vicino a lui Maia e Dione. Quindi m'apparve il temperar di Giove tra 'l padre e 'l figlio; e quindi mi fu chiaro il variar che fanno di lor dove; e tutti e sette mi si dimostraro quanto son grandi e quanto son veloci e come sono in distante riparo. L'aiuola che ci fa tanto feroci, volgendom' io con li etterni Gemelli, tutta m'apparve da' colli a le foci; poscia rivolsi li occhi a li occhi belli. Paradiso: Canto XXIII Come l'augello, intra l'amate fronde, posato al nido de' suoi dolci nati la notte che le cose ci nasconde, che, per veder li aspetti disiati e per trovar lo cibo onde li pasca, in che gravi labor li sono aggrati, previene il tempo in su aperta frasca, e con ardente affetto il sole aspetta, fiso guardando pur che l'alba nasca; cosi` la donna mia stava eretta e attenta, rivolta inver' la plaga sotto la quale il sol mostra men fretta: si` che, veggendola io sospesa e vaga, fecimi qual e` quei che disiando altro vorria, e sperando s'appaga. Ma poco fu tra uno e altro quando, del mio attender, dico, e del vedere lo ciel venir piu` e piu` rischiarando; e Beatrice disse: <>. Pariemi che 'l suo viso ardesse tutto, e li occhi avea di letizia si` pieni, che passarmen convien sanza costrutto. Quale ne' plenilunii sereni Trivia ride tra le ninfe etterne che dipingon lo ciel per tutti i seni, vid' i' sopra migliaia di lucerne un sol che tutte quante l'accendea, come fa 'l nostro le viste superne; e per la viva luce trasparea la lucente sustanza tanto chiara nel viso mio, che non la sostenea. Oh Beatrice, dolce guida e cara! Ella mi disse: <>. Come foco di nube si diserra per dilatarsi si` che non vi cape, e fuor di sua natura in giu` s'atterra, la mente mia cosi`, tra quelle dape fatta piu` grande, di se/ stessa usci`o, e che si fesse rimembrar non sape. <>. Io era come quei che si risente di visione oblita e che s'ingegna indarno di ridurlasi a la mente, quand' io udi' questa proferta, degna di tanto grato, che mai non si stingue del libro che 'l preterito rassegna. Se mo sonasser tutte quelle lingue che Polimnia con le suore fero del latte lor dolcissimo piu` pingue, per aiutarmi, al millesmo del vero non si verria, cantando il santo riso e quanto il santo aspetto facea mero; e cosi`, figurando il paradiso, convien saltar lo sacrato poema, come chi trova suo cammin riciso. Ma chi pensasse il ponderoso tema e l'omero mortal che se ne carca, nol biasmerebbe se sott' esso trema: non e` pareggio da picciola barca quel che fendendo va l'ardita prora, ne/ da nocchier ch'a se/ medesmo parca. <>. Cosi` Beatrice; e io, che a' suoi consigli tutto era pronto, ancora mi rendei a la battaglia de' debili cigli. Come a raggio di sol, che puro mei per fratta nube, gia` prato di fiori vider, coverti d'ombra, li occhi miei; vid' io cosi` piu` turbe di splendori, folgorate di su` da raggi ardenti, sanza veder principio di folgo/ri. O benigna vertu` che si` li 'mprenti, su` t'essaltasti, per largirmi loco a li occhi li` che non t'eran possenti. Il nome del bel fior ch'io sempre invoco e mane e sera, tutto mi ristrinse l'animo ad avvisar lo maggior foco; e come ambo le luci mi dipinse il quale e il quanto de la viva stella che la` su` vince come qua giu` vinse, per entro il cielo scese una facella, formata in cerchio a guisa di corona, e cinsela e girossi intorno ad ella. Qualunque melodia piu` dolce suona qua giu` e piu` a se/ l'anima tira, parrebbe nube che squarciata tona, comparata al sonar di quella lira onde si coronava il bel zaffiro del quale il ciel piu` chiaro s'inzaffira. <>. Cosi` la circulata melodia si sigillava, e tutti li altri lumi facean sonare il nome di Maria. Lo real manto di tutti i volumi del mondo, che piu` ferve e piu` s'avviva ne l'alito di Dio e nei costumi, avea sopra di noi l'interna riva tanto distante, che la sua parvenza, la` dov' io era, ancor non appariva: pero` non ebber li occhi miei potenza di seguitar la coronata fiamma che si levo` appresso sua semenza. E come fantolin che 'nver' la mamma tende le braccia, poi che 'l latte prese, per l'animo che 'nfin di fuor s'infiamma; ciascun di quei candori in su` si stese con la sua cima, si` che l'alto affetto ch'elli avieno a Maria mi fu palese. Indi rimaser li` nel mio cospetto, `Regina celi' cantando si` dolce, che mai da me non si parti` 'l diletto. Oh quanta e` l'uberta` che si soffolce in quelle arche ricchissime che fuoro a seminar qua giu` buone bobolce! Quivi si vive e gode del tesoro che s'acquisto` piangendo ne lo essilio di Babillo`n, ove si lascio` l'oro. Quivi triunfa, sotto l'alto Filio di Dio e di Maria, di sua vittoria, e con l'antico e col novo concilio, colui che tien le chiavi di tal gloria. Paradiso: Canto XXIV <>. Cosi` Beatrice; e quelle anime liete si fero spere sopra fissi poli, fiammando, a volte, a guisa di comete. E come cerchi in tempra d'oriuoli si giran si`, che 'l primo a chi pon mente quieto pare, e l'ultimo che voli; cosi` quelle carole, differente- mente danzando, de la sua ricchezza mi facieno stimar, veloci e lente. Di quella ch'io notai di piu` carezza vid' io uscire un foco si` felice, che nullo vi lascio` di piu` chiarezza; e tre fiate intorno di Beatrice si volse con un canto tanto divo, che la mia fantasia nol mi ridice. Pero` salta la penna e non lo scrivo: che/ l'imagine nostra a cotai pieghe, non che 'l parlare, e` troppo color vivo. <>. Poscia fermato, il foco benedetto a la mia donna dirizzo` lo spiro, che favello` cosi` com' i' ho detto. Ed ella: <>. Si` come il baccialier s'arma e non parla fin che 'l maestro la question propone, per approvarla, non per terminarla, cosi` m'armava io d'ogne ragione mentre ch'ella dicea, per esser presto a tal querente e a tal professione. <>. Ond' io levai la fronte in quella luce onde spirava questo; poi mi volsi a Beatrice, ed essa pronte sembianze femmi perch' io spandessi l'acqua di fuor del mio interno fonte. <>, comincia' io, <>. E seguitai: <>. Allora udi': <>. E io appresso: <>. Allora udi': <>. Cosi` spiro` di quello amore acceso; indi soggiunse: <>. Ond' io: <>. Appresso usci` de la luce profonda che li` splendeva: <>. E io: <>. Io udi' poi: <>. E io: <>. Risposto fummi: <>. <>, diss' io, <>. Finito questo, l'alta corte santa risono` per le spere un `Dio laudamo' ne la melode che la` su` si canta. E quel baron che si` di ramo in ramo, essaminando, gia` tratto m'avea, che a l'ultime fronde appressavamo, ricomincio`: <>. <>, comincia' io, <>. Come 'l segnor ch'ascolta quel che i piace, da indi abbraccia il servo, gratulando per la novella, tosto ch'el si tace; cosi`, benedicendomi cantando, tre volte cinse me, si` com' io tacqui, l'appostolico lume al cui comando io avea detto: si` nel dir li piacqui! Paradiso: Canto XXV Se mai continga che 'l poema sacro al quale ha posto mano e cielo e terra, si` che m'ha fatto per molti anni macro, vinca la crudelta` che fuor mi serra del bello ovile ov' io dormi' agnello, nimico ai lupi che li danno guerra; con altra voce omai, con altro vello ritornero` poeta, e in sul fonte del mio battesmo prendero` 'l cappello; pero` che ne la fede, che fa conte l'anime a Dio, quivi intra' io, e poi Pietro per lei si` mi giro` la fronte. Indi si mosse un lume verso noi di quella spera ond' usci` la primizia che lascio` Cristo d'i vicari suoi; e la mia donna, piena di letizia, mi disse: <>. Si` come quando il colombo si pone presso al compagno, l'uno a l'altro pande, girando e mormorando, l'affezione; cosi` vid' io l'un da l'altro grande principe glorioso essere accolto, laudando il cibo che la` su` li prande. Ma poi che 'l gratular si fu assolto, tacito coram me ciascun s'affisse, ignito si` che vincea 'l mio volto. Ridendo allora Beatrice disse: <>. <>. Questo conforto del foco secondo mi venne; ond' io levai li occhi a' monti che li 'ncurvaron pria col troppo pondo. <>. Cosi` segui` 'l secondo lume ancora. E quella pia che guido` le penne de le mie ali a cosi` alto volo, a la risposta cosi` mi prevenne: <>. Come discente ch'a dottor seconda pronto e libente in quel ch'elli e` esperto, perche/ la sua bonta` si disasconda, <>, diss' io, <>. Mentr' io diceva, dentro al vivo seno di quello incendio tremolava un lampo su`bito e spesso a guisa di baleno. Indi spiro`: <>. E io: <>. E prima, appresso al fin d'este parole, `Sperent in te' di sopr' a noi s'udi`; a che rispuoser tutte le carole. Poscia tra esse un lume si schiari` si` che, se 'l Cancro avesse un tal cristallo, l'inverno avrebbe un mese d'un sol di`. E come surge e va ed entra in ballo vergine lieta, sol per fare onore a la novizia, non per alcun fallo, cosi` vid' io lo schiarato splendore venire a' due che si volgieno a nota qual conveniesi al loro ardente amore. Misesi li` nel canto e ne la rota; e la mia donna in lor tenea l'aspetto, pur come sposa tacita e immota. <>. La donna mia cosi`; ne/ pero` piu`e mosser la vista sua di stare attenta poscia che prima le parole sue. Qual e` colui ch'adocchia e s'argomenta di vedere eclissar lo sole un poco, che, per veder, non vedente diventa; tal mi fec' io a quell' ultimo foco mentre che detto fu: <>. A questa voce l'infiammato giro si quieto` con esso il dolce mischio che si facea nel suon del trino spiro, si` come, per cessar fatica o rischio, li remi, pria ne l'acqua ripercossi, tutti si posano al sonar d'un fischio. Ahi quanto ne la mente mi commossi, quando mi volsi per veder Beatrice, per non poter veder, benche/ io fossi presso di lei, e nel mondo felice! Paradiso: Canto XXVI Mentr' io dubbiava per lo viso spento, de la fulgida fiamma che lo spense usci` un spiro che mi fece attento, dicendo: <>. Io dissi: <>. Quella medesma voce che paura tolta m'avea del su`bito abbarbaglio, di ragionare ancor mi mise in cura; e disse: <>. E io: <>. E io udi': <>. Non fu latente la santa intenzione de l'aguglia di Cristo, anzi m'accorsi dove volea menar mia professione. Pero` ricominciai: <>. Si` com' io tacqui, un dolcissimo canto risono` per lo cielo, e la mia donna dicea con li altri: <>. E come a lume acuto si disonna per lo spirto visivo che ricorre a lo splendor che va di gonna in gonna, e lo svegliato cio` che vede aborre, si` nescia e` la su`bita vigilia fin che la stimativa non soccorre; cosi` de li occhi miei ogne quisquilia fugo` Beatrice col raggio d'i suoi, che rifulgea da piu` di mille milia: onde mei che dinanzi vidi poi; e quasi stupefatto domandai d'un quarto lume ch'io vidi tra noi. E la mia donna: <>. Come la fronda che flette la cima nel transito del vento, e poi si leva per la propria virtu` che la soblima, fec' io in tanto in quant' ella diceva, stupendo, e poi mi rifece sicuro un disio di parlare ond' io ardeva. E cominciai: <>. Talvolta un animal coverto broglia, si` che l'affetto convien che si paia per lo seguir che face a lui la 'nvoglia; e similmente l'anima primaia mi facea trasparer per la coverta quant' ella a compiacermi veni`a gaia. Indi spiro`: <>. Paradiso: Canto XXVII `Al Padre, al Figlio, a lo Spirito Santo', comincio`, `gloria!', tutto 'l paradiso, si` che m'inebriava il dolce canto. Cio` ch'io vedeva mi sembiava un riso de l'universo; per che mia ebbrezza intrava per l'udire e per lo viso. Oh gioia! oh ineffabile allegrezza! oh vita inte`gra d'amore e di pace! oh sanza brama sicura ricchezza! Dinanzi a li occhi miei le quattro face stavano accese, e quella che pria venne incomincio` a farsi piu` vivace, e tal ne la sembianza sua divenne, qual diverrebbe Iove, s'elli e Marte fossero augelli e cambiassersi penne. La provedenza, che quivi comparte vice e officio, nel beato coro silenzio posto avea da ogne parte, quand' io udi': <>. Di quel color che per lo sole avverso nube dipigne da sera e da mane, vid' io allora tutto 'l ciel cosperso. E come donna onesta che permane di se/ sicura, e per l'altrui fallanza, pur ascoltando, timida si fane, cosi` Beatrice trasmuto` sembianza; e tale eclissi credo che 'n ciel fue quando pati` la supprema possanza. Poi procedetter le parole sue con voce tanto da se/ trasmutata, che la sembianza non si muto` piu`e: <>. Si` come di vapor gelati fiocca in giuso l'aere nostro, quando 'l corno de la capra del ciel col sol si tocca, in su` vid' io cosi` l'etera addorno farsi e fioccar di vapor triunfanti che fatto avien con noi quivi soggiorno. Lo viso mio seguiva i suoi sembianti, e segui` fin che 'l mezzo, per lo molto, li tolse il trapassar del piu` avanti. Onde la donna, che mi vide assolto de l'attendere in su`, mi disse: <>. Da l'ora ch'io avea guardato prima i' vidi mosso me per tutto l'arco che fa dal mezzo al fine il primo clima; si` ch'io vedea di la` da Gade il varco folle d'Ulisse, e di qua presso il lito nel qual si fece Europa dolce carco. E piu` mi fora discoverto il sito di questa aiuola; ma 'l sol procedea sotto i mie' piedi un segno e piu` partito. La mente innamorata, che donnea con la mia donna sempre, di ridure ad essa li occhi piu` che mai ardea; e se natura o arte fe/ pasture da pigliare occhi, per aver la mente, in carne umana o ne le sue pitture, tutte adunate, parrebber niente ver' lo piacer divin che mi refulse, quando mi volsi al suo viso ridente. E la virtu` che lo sguardo m'indulse, del bel nido di Leda mi divelse, e nel ciel velocissimo m'impulse. Le parti sue vivissime ed eccelse si` uniforme son, ch'i' non so dire qual Beatrice per loco mi scelse. Ma ella, che vedea 'l mio disire, incomincio`, ridendo tanto lieta, che Dio parea nel suo volto gioire: <>. Paradiso: Canto XXVIII Poscia che 'ncontro a la vita presente d'i miseri mortali aperse 'l vero quella che 'mparadisa la mia mente, come in lo specchio fiamma di doppiero vede colui che se n'alluma retro, prima che l'abbia in vista o in pensiero, e se/ rivolge per veder se 'l vetro li dice il vero, e vede ch'el s'accorda con esso come nota con suo metro; cosi` la mia memoria si ricorda ch'io feci riguardando ne' belli occhi onde a pigliarmi fece Amor la corda. E com' io mi rivolsi e furon tocchi li miei da cio` che pare in quel volume, quandunque nel suo giro ben s'adocchi, un punto vidi che raggiava lume acuto si`, che 'l viso ch'elli affoca chiuder conviensi per lo forte acume; e quale stella par quinci piu` poca, parrebbe luna, locata con esso come stella con stella si collo`ca. Forse cotanto quanto pare appresso alo cigner la luce che 'l dipigne quando 'l vapor che 'l porta piu` e` spesso, distante intorno al punto un cerchio d'igne si girava si` ratto, ch'avria vinto quel moto che piu` tosto il mondo cigne; e questo era d'un altro circumcinto, e quel dal terzo, e 'l terzo poi dal quarto, dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto. Sopra seguiva il settimo si` sparto gia` di larghezza, che 'l messo di Iuno intero a contenerlo sarebbe arto. Cosi` l'ottavo e 'l nono; e chiascheduno piu` tardo si movea, secondo ch'era in numero distante piu` da l'uno; e quello avea la fiamma piu` sincera cui men distava la favilla pura, credo, pero` che piu` di lei s'invera. La donna mia, che mi vedea in cura forte sospeso, disse: <>. E io a lei: <>. <>. Cosi` la donna mia; poi disse: <>. Come rimane splendido e sereno l'emisperio de l'aere, quando soffia Borea da quella guancia ond' e` piu` leno, per che si purga e risolve la roffia che pria turbava, si` che 'l ciel ne ride con le bellezze d'ogne sua paroffia; cosi` fec'io, poi che mi provide la donna mia del suo risponder chiaro, e come stella in cielo il ver si vide. E poi che le parole sue restaro, non altrimenti ferro disfavilla che bolle, come i cerchi sfavillaro. L'incendio suo seguiva ogne scintilla; ed eran tante, che 'l numero loro piu` che 'l doppiar de li scacchi s'inmilla. Io sentiva osannar di coro in coro al punto fisso che li tiene a li ubi, e terra` sempre, ne' quai sempre fuoro. E quella che vedea i pensier dubi ne la mia mente, disse: <>. Paradiso: Canto XXIX Quando ambedue li figli di Latona, coperti del Montone e de la Libra, fanno de l'orizzonte insieme zona, quant' e` dal punto che 'l ceni`t inlibra infin che l'uno e l'altro da quel cinto, cambiando l'emisperio, si dilibra, tanto, col volto di riso dipinto, si tacque Beatrice, riguardando fiso nel punto che m'avea vinto. Poi comincio`: <>. Paradiso: Canto XXX Forse semilia miglia di lontano ci ferve l'ora sesta, e questo mondo china gia` l'ombra quasi al letto piano, quando 'l mezzo del cielo, a noi profondo, comincia a farsi tal, ch'alcuna stella perde il parere infino a questo fondo; e come vien la chiarissima ancella del sol piu` oltre, cosi` 'l ciel si chiude di vista in vista infino a la piu` bella. Non altrimenti il triunfo che lude sempre dintorno al punto che mi vinse, parendo inchiuso da quel ch'elli 'nchiude, a poco a poco al mio veder si stinse: per che tornar con li occhi a Beatrice nulla vedere e amor mi costrinse. Se quanto infino a qui di lei si dice fosse conchiuso tutto in una loda, poca sarebbe a fornir questa vice. La bellezza ch'io vidi si trasmoda non pur di la` da noi, ma certo io credo che solo il suo fattor tutta la goda. Da questo passo vinto mi concedo piu` che gia` mai da punto di suo tema soprato fosse comico o tragedo: che/, come sole in viso che piu` trema, cosi` lo rimembrar del dolce riso la mente mia da me medesmo scema. Dal primo giorno ch'i' vidi il suo viso in questa vita, infino a questa vista, non m'e` il seguire al mio cantar preciso; ma or convien che mio seguir desista piu` dietro a sua bellezza, poetando, come a l'ultimo suo ciascuno artista. Cotal qual io lascio a maggior bando che quel de la mia tuba, che deduce l'ardua sua matera terminando, con atto e voce di spedito duce ricomincio`: <>. Come su`bito lampo che discetti li spiriti visivi, si` che priva da l'atto l'occhio di piu` forti obietti, cosi` mi circunfulse luce viva, e lasciommi fasciato di tal velo del suo fulgor, che nulla m'appariva. <>. Non fur piu` tosto dentro a me venute queste parole brievi, ch'io compresi me sormontar di sopr' a mia virtute; e di novella vista mi raccesi tale, che nulla luce e` tanto mera, che li occhi miei non si fosser difesi; e vidi lume in forma di rivera fulvido di fulgore, intra due rive dipinte di mirabil primavera. Di tal fiumana uscian faville vive, e d'ogne parte si mettien ne' fiori, quasi rubin che oro circunscrive; poi, come inebriate da li odori, riprofondavan se/ nel miro gurge, e s'una intrava, un'altra n'uscia fori. <>: cosi` mi disse il sol de li occhi miei. Anche soggiunse: <>. Non e` fantin che si` su`bito rua col volto verso il latte, se si svegli molto tardato da l'usanza sua, come fec' io, per far migliori spegli ancor de li occhi, chinandomi a l'onda che si deriva perche/ vi s'immegli; e si` come di lei bevve la gronda de le palpebre mie, cosi` mi parve di sua lunghezza divenuta tonda. Poi, come gente stata sotto larve, che pare altro che prima, se si sveste la sembianza non sua in che disparve, cosi` mi si cambiaro in maggior feste li fiori e le faville, si` ch'io vidi ambo le corti del ciel manifeste. O isplendor di Dio, per cu' io vidi l'alto triunfo del regno verace, dammi virtu` a dir com' io il vidi! Lume e` la` su` che visibile face lo creatore a quella creatura che solo in lui vedere ha la sua pace. E' si distende in circular figura, in tanto che la sua circunferenza sarebbe al sol troppo larga cintura. Fassi di raggio tutta sua parvenza reflesso al sommo del mobile primo, che prende quindi vivere e potenza. E come clivo in acqua di suo imo si specchia, quasi per vedersi addorno, quando e` nel verde e ne' fioretti opimo, si`, soprastando al lume intorno intorno, vidi specchiarsi in piu` di mille soglie quanto di noi la` su` fatto ha ritorno. E se l'infimo grado in se/ raccoglie si` grande lume, quanta e` la larghezza di questa rosa ne l'estreme foglie! La vista mia ne l'ampio e ne l'altezza non si smarriva, ma tutto prendeva il quanto e 'l quale di quella allegrezza. Presso e lontano, li`, ne/ pon ne/ leva: che/ dove Dio sanza mezzo governa, la legge natural nulla rileva. Nel giallo de la rosa sempiterna, che si digrada e dilata e redole odor di lode al sol che sempre verna, qual e` colui che tace e dicer vole, mi trasse Beatrice, e disse: <>. Paradiso: Canto XXXI In forma dunque di candida rosa mi si mostrava la milizia santa che nel suo sangue Cristo fece sposa; ma l'altra, che volando vede e canta la gloria di colui che la 'nnamora e la bonta` che la fece cotanta, si` come schiera d'ape che s'infiora una fiata e una si ritorna la` dove suo laboro s'insapora, nel gran fior discendeva che s'addorna di tante foglie, e quindi risaliva la` dove 'l suo amor sempre soggiorna. Le facce tutte avean di fiamma viva e l'ali d'oro, e l'altro tanto bianco, che nulla neve a quel termine arriva. Quando scendean nel fior, di banco in banco porgevan de la pace e de l'ardore ch'elli acquistavan ventilando il fianco. Ne/ l'interporsi tra 'l disopra e 'l fiore di tanta moltitudine volante impediva la vista e lo splendore: che/ la luce divina e` penetrante per l'universo secondo ch'e` degno, si` che nulla le puote essere ostante. Questo sicuro e gaudioso regno, frequente in gente antica e in novella, viso e amore avea tutto ad un segno. O trina luce che 'n unica stella scintillando a lor vista, si` li appaga! guarda qua giuso a la nostra procella! Se i barbari, venendo da tal plaga che ciascun giorno d'Elice si cuopra, rotante col suo figlio ond' ella e` vaga, veggendo Roma e l'ardua sua opra, stupefaciensi, quando Laterano a le cose mortali ando` di sopra; io, che al divino da l'umano, a l'etterno dal tempo era venuto, e di Fiorenza in popol giusto e sano, di che stupor dovea esser compiuto! Certo tra esso e 'l gaudio mi facea libito non udire e starmi muto. E quasi peregrin che si ricrea nel tempio del suo voto riguardando, e spera gia` ridir com' ello stea, su per la viva luce passeggiando, menava io li occhi per li gradi, mo su`, mo giu` e mo recirculando. Vedea visi a carita` suadi, d'altrui lume fregiati e di suo riso, e atti ornati di tutte onestadi. La forma general di paradiso gia` tutta mio sguardo avea compresa, in nulla parte ancor fermato fiso; e volgeami con voglia riaccesa per domandar la mia donna di cose di che la mente mia era sospesa. Uno intendea, e altro mi rispuose: credea veder Beatrice e vidi un sene vestito con le genti gloriose. Diffuso era per li occhi e per le gene di benigna letizia, in atto pio quale a tenero padre si convene. E <>, su`bito diss' io. Ond' elli: <>. Sanza risponder, li occhi su` levai, e vidi lei che si facea corona reflettendo da se/ li etterni rai. Da quella region che piu` su` tona occhio mortale alcun tanto non dista, qualunque in mare piu` giu` s'abbandona, quanto li` da Beatrice la mia vista; ma nulla mi facea, che/ sua effige non discendea a me per mezzo mista. <>. Cosi` orai; e quella, si` lontana come parea, sorrise e riguardommi; poi si torno` a l'etterna fontana. E 'l santo sene: <>, disse, <>. Qual e` colui che forse di Croazia viene a veder la Veronica nostra, che per l'antica fame non sen sazia, ma dice nel pensier, fin che si mostra: `Segnor mio Iesu` Cristo, Dio verace, or fu si` fatta la sembianza vostra?'; tal era io mirando la vivace carita` di colui che 'n questo mondo, contemplando, gusto` di quella pace. <>, comincio` elli, <>. Io levai li occhi; e come da mattina la parte oriental de l'orizzonte soverchia quella dove 'l sol declina, cosi`, quasi di valle andando a monte con li occhi, vidi parte ne lo stremo vincer di lume tutta l'altra fronte. E come quivi ove s'aspetta il temo che mal guido` Fetonte, piu` s'infiamma, e quinci e quindi il lume si fa scemo, cosi` quella pacifica oriafiamma nel mezzo s'avvivava, e d'ogne parte per igual modo allentava la fiamma; e a quel mezzo, con le penne sparte, vid' io piu` di mille angeli festanti, ciascun distinto di fulgore e d'arte. Vidi a lor giochi quivi e a lor canti ridere una bellezza, che letizia era ne li occhi a tutti li altri santi; e s'io avessi in dir tanta divizia quanta ad imaginar, non ardirei lo minimo tentar di sua delizia. Bernardo, come vide li occhi miei nel caldo suo caler fissi e attenti, li suoi con tanto affetto volse a lei, che ' miei di rimirar fe/ piu` ardenti. Paradiso: Canto XXXII Affetto al suo piacer, quel contemplante libero officio di dottore assunse, e comincio` queste parole sante: <>. Io vidi sopra lei tanta allegrezza piover, portata ne le menti sante create a trasvolar per quella altezza, che quantunque io avea visto davante, di tanta ammirazion non mi sospese, ne/ mi mostro` di Dio tanto sembiante; e quello amor che primo li` discese, cantando `Ave, Maria, gratia plena', dinanzi a lei le sue ali distese. Rispuose a la divina cantilena da tutte parti la beata corte, si` ch'ogne vista sen fe/ piu` serena. <>. Cosi` ricorsi ancora a la dottrina di colui ch'abbelliva di Maria, come del sole stella mattutina. Ed elli a me: <>. E comincio` questa santa orazione: Paradiso: Canto XXXIII <>. Li occhi da Dio diletti e venerati, fissi ne l'orator, ne dimostraro quanto i devoti prieghi le son grati; indi a l'etterno lume s'addrizzaro, nel qual non si dee creder che s'invii per creatura l'occhio tanto chiaro. E io ch'al fine di tutt' i disii appropinquava, si` com' io dovea, l'ardor del desiderio in me finii. Bernardo m'accennava, e sorridea, perch' io guardassi suso; ma io era gia` per me stesso tal qual ei volea: che/ la mia vista, venendo sincera, e piu` e piu` intrava per lo raggio de l'alta luce che da se/ e` vera. Da quinci innanzi il mio veder fu maggio che 'l parlar mostra, ch'a tal vista cede, e cede la memoria a tanto oltraggio. Qual e` colui che sognando vede, che dopo 'l sogno la passione impressa rimane, e l'altro a la mente non riede, cotal son io, che/ quasi tutta cessa mia visione, e ancor mi distilla nel core il dolce che nacque da essa. Cosi` la neve al sol si disigilla; cosi` al vento ne le foglie levi si perdea la sentenza di Sibilla. O somma luce che tanto ti levi da' concetti mortali, a la mia mente ripresta un poco di quel che parevi, e fa la lingua mia tanto possente, ch'una favilla sol de la tua gloria possa lasciare a la futura gente; che/, per tornare alquanto a mia memoria e per sonare un poco in questi versi, piu` si concepera` di tua vittoria. Io credo, per l'acume ch'io soffersi del vivo raggio, ch'i' sarei smarrito, se li occhi miei da lui fossero aversi. E' mi ricorda ch'io fui piu` ardito per questo a sostener, tanto ch'i' giunsi l'aspetto mio col valore infinito. Oh abbondante grazia ond' io presunsi ficcar lo viso per la luce etterna, tanto che la veduta vi consunsi! Nel suo profondo vidi che s'interna, legato con amore in un volume, cio` che per l'universo si squaderna: sustanze e accidenti e lor costume quasi conflati insieme, per tal modo che cio` ch'i' dico e` un semplice lume. La forma universal di questo nodo credo ch'i' vidi, perche/ piu` di largo, dicendo questo, mi sento ch'i' godo. Un punto solo m'e` maggior letargo che venticinque secoli a la 'mpresa che fe/ Nettuno ammirar l'ombra d'Argo. Cosi` la mente mia, tutta sospesa, mirava fissa, immobile e attenta, e sempre di mirar faceasi accesa. A quella luce cotal si diventa, che volgersi da lei per altro aspetto e` impossibil che mai si consenta; pero` che 'l ben, ch'e` del volere obietto, tutto s'accoglie in lei, e fuor di quella e` defettivo cio` ch'e` li` perfetto. Omai sara` piu` corta mia favella, pur a quel ch'io ricordo, che d'un fante che bagni ancor la lingua a la mammella. Non perche/ piu` ch'un semplice sembiante fosse nel vivo lume ch'io mirava, che tal e` sempre qual s'era davante; ma per la vista che s'avvalorava in me guardando, una sola parvenza, mutandom' io, a me si travagliava. Ne la profonda e chiara sussistenza de l'alto lume parvermi tre giri di tre colori e d'una contenenza; e l'un da l'altro come iri da iri parea reflesso, e 'l terzo parea foco che quinci e quindi igualmente si spiri. Oh quanto e` corto il dire e come fioco al mio concetto! e questo, a quel ch'i' vidi, e` tanto, che non basta a dicer `poco'. O luce etterna che sola in te sidi, sola t'intendi, e da te intelletta e intendente te ami e arridi! Quella circulazion che si` concetta pareva in te come lume reflesso, da li occhi miei alquanto circunspetta, dentro da se/, del suo colore stesso, mi parve pinta de la nostra effige: per che 'l mio viso in lei tutto era messo. Qual e` 'l geome`tra che tutto s'affige per misurar lo cerchio, e non ritrova, pensando, quel principio ond' elli indige, tal era io a quella vista nova: veder voleva come si convenne l'imago al cerchio e come vi s'indova; ma non eran da cio` le proprie penne: se non che la mia mente fu percossa da un fulgore in che sua voglia venne. A l'alta fantasia qui manco` possa; ma gia` volgeva il mio disio e 'l velle, si` come rota ch'igualmente e` mossa, l'amor che move il sole e l'altre stelle. - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - TAVOLA DEI CARATTERI SPECIALI TABLE OF SPECIAL CHARACTERS a` = a grave e` = e grave i` = i grave o` = o grave u` = u grave E` = E grave e/ = e acute o/ = o acute << = left angle quotation mark >> = right angle quotation mark `` = left double quotation mark " = right double quotation mark ` = left single quotation mark ' = right single quotation mark -- = em dash . . . = ellipsis - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - TESTO TRATTO DA TEXT ADAPTED FROM Dante Alighieri. La Commedia secondo l'antica vulgata a cura di Giorgio Petrocchi. Edizione Nazionale della Societa` Dantesca Italiana Milano: Arnoldo Mondadori Editore, 1966-7.